Classe ’92, studente di Filosofia. Dal 2009 è voce, seconda chitarra e autore della band segratese Poco di Buono. Filippo Gimigliano, alias Gimmo. Una sola passione, il canto. Il suo obiettivo: comunicare.
Filippo “Gimmo” Gimigliano
Filippo, chi sono i Poco di buono?
«Una grandissima band composta dal sottoscritto, il batterista Riccardo Ierardi, Giacomo Ladini al basso e Francesco Caprini, detto “Darko”, alle tastiere. Non riesco proprio a star zitto. Come a scuola. Tu pensa ai professori… In quinta liceo mi hanno dato 5 in condotta perché parlavo. E parlavo. Ho chiesto spiegazioni visto che sono uscito anche con un buon voto! Per me l’apice della comunicazione è cantare una canzone».
Il messaggio arriva più in fretta.
«Esatto. Mi ha colpito questa bellissima frase: “La differenza tra il cantante e il filosofo. Il filosofo ha bisogno di argomentazioni per convincere, il cantante no. Basta che canti, senza spiegare”. Se ci pensi, quando il tuo cantante preferito canta una canzone, dai per scontato che abbia ragione».
“Io sono un poco di buono/lasciami in pace perché/sono un ragazzo di strada/ e tu ti prendi gioco di me”. Sono versi di una canzone che hanno segnato il debutto sui palchi del gruppo…
«“Ragazzo di strada” dei Corvi che risale al 1968. L’abbiamo riproposta nel corso del nostro primo concerto al PalaSegrate. È stato il mio amico Emanuele Salvi a suggerirci di prender spunto proprio da quel testo per dare un nome alla band. Ecco la nascita dei Poco di Buono».
All’attivo avete 25 canzoni. Spiegaci il tuo ruolo di autore.
«Io scrivo le canzoni alla chitarra. 25 sono quelle “arrangiabili” (le altre le tengo per me perché agli altri risulterebbero alquanto incomprensibili) e nascono come voce e chitarra. Poi mi affido ai miei degni compagni per l’arrangiamento finale».
Di queste, quante sono uscite come singoli?
«Tre. Il primo è “Chiara”, il più conosciuto dai segratesi. Che ci ha fatto arrivare secondi al concorso per esibirci a San Siro prima di Ligabue. È un brano, dedicato alla mia compagna di scuola, che rappresenta un disagio e allo stesso tempo una speranza, perché, come dice un verso “la vita è da vivere”. Il secondo è “Vale la pena” che ho scritto dopo aver litigato con il mio amico Marco. Ma dopo il verso iniziale “ti chiedo scusa, dai”, ho accantonato Marco e ho dedicato la canzone a una ragazza… Il terzo singolo è “Pomeriggi d’estate”, allegro e molto ironico».
Ai tempi di “Chiara”, dopo aver creato testo e base in acustico, la band si trasferiva in sala prove per l’arrangiamento. Ora, invece, vi accampate nel tuo appartamento, anzi, per essere più precisi, nella tua stanza.
«Ci siamo modernizzati. Gli arrangiamenti non devono essere più “antichi” del tipo basso-batteria-chitarra acustica. Utilizziamo dispositivi digitali, anche perché Riccardo Ierardi è a Sharm El Sheik a suonare per lo Smaila’s e dobbiamo sostituirlo in qualche modo…»
Quali sono le esibizioni dei Poco di Buono che più hai nel cuore?
«Nel 2010, il “Concerto per Chiara”. Il PalaSegrate era strapieno. Ogni canzone che cantavo mi faceva venire la pelle d’oca. E quest’anno a giugno all’Alcatraz. Abbiamo suonato quattro canzoni, tre nostre e l’ultima “Libero” di Fabrizio Moro. Lo adoro».
Ma tu non ami solo Moro perché…
«Io amo “il Sommo”…»
Ecco, torniamo indietro di un paio d’anni. Febbraio 2010, neve per le strade di Milano. Tu, da solo al Melià Hotel… cos’hai combinato?
«Sono un grandissimo fan di Vasco, “il Grande Sommo” appunto, che a quel tempo era in tour. Sapevo esattamente dove alloggiava e così mi sono appostato davanti al suo albergo, sicuro che prima del concerto sarebbe uscito da un’uscita secondaria. Mi sono diretto verso i box e ho visto la sua macchina. Nascosto dietro a una colonna per evitare le telecamere, dopo diverse ore ho visto uscire tutto lo staff seguito da Vasco. Ho iniziato a correre verso di lui ma i bodyguards mi hanno placcato. E’ stato Vasco a fermarli! Gli avrò fatto pena… Si è avvicinato e mi ha concesso foto e autografo. Stavo male!».
Dopo aver capito come muoverti al Melià Hotel, sei riuscito a intrufolarti per festeggiare la vittoria della tua squadra del cuore!
«La grande inter di Mourinho quando ha vinto il 18° scudetto, prima della Champions League. Ho fatto finta di essere un cliente dell’albergo: entro nella hall e cerco di seguire i giocatori. Arrivo decisissimo davanti ai buttafuori che controllano l’entrata della sala dei festeggiamenti e mi annuncio “Sono un amico di Bedy Moratti!”. Davanti alla loro incredulità, insisto “La devo chiamare per caso?”. E loro sai cosa mi hanno risposto? “No no, va bene entra!”. Incredibile! Ho mangiato la torta con Sneijder, Milito e tutti gli altri. Ho fatto anche la foto con la coppa. E c’è un video su Youtube nel quale si vede distintamente che Eto’ò mi innaffia di spumante!»